Chi trova una stanza su Booking, il colosso mondiale delle prenotazioni, aveva una certezza: la tariffa indicata dal sito era la più bassa del mercato. Questo avviene grazie a un principio, la cosiddetta parity rate, ovvero: l’hotel affiliato alle piattaforme online (l’altro colosso è Expedia) non può offrire sul proprio sito web un prezzo più basso. Una clausola da sempre criticata dalle associazioni di categoria, soprattutto dalla Federalberghi, che la giudica una norma capestro a favore delle multinazionali della prenotazione, le Ota (online travel agency). Una tesi che è stata fatta propria dalla Camera dei deputati, che ieri, con un emendamento al ddl concorrenza, ha abolito la parity rate.

Il governo inizialmente si era opposto in commissione, ma poi il deputato del Pd Tiziano Arlotti ha portato il provvedimento in aula raccogliendo ampi consensi. A Montecitorio ieri sera è stato un plebiscito, praticamente tutti i gruppi, da destra a sinistra, si sono spesi per cancellare questa clausola (solo 4 contrari). «Lasciamo che sia il mercato e non piattaforme con base all’estero a decidere», spiega in aula Giovanni Paglia di Sel. «Poniamo fine a una lotta impari», aggiunge Gianluca Benamati del Pd. La Francia ha approvato due mesi fa un provvedimento simile, sotto il forte impulso delle grandi catene che controllano buona parte del mercato.

Cosa succede da domani? Per ora non ci saranno grandi novità, per aspettare di vedere offerte migliori sui singoli siti degli alberghi bisognerà aspettare l’approvazione del Senato. A quel punto la norma sulla parità tariffaria, contenuta nei contratti tra Booking e gli hotel, sarà nulla. I numeri spiegano l’importanza della partita: il mercato delle prenotazioni online (non solo alberghiere) vale circa quattro miliardi l’anno. Soltanto attraverso Booking.com in Italia si effettuano sette milioni di prenotazione all’anno.

Il voto di ieri è accolto con grande soddisfazione da Federlaberghi: “Ringrazio la Camera - spiega, cinque minuti dopo il voto, il direttore generale di Federalberghi, Alessandro Nucara - abolendo l’obbligo di parity rate si avvantaggiano le imprese e i consumatori, ci sarà un mercato più libero ed efficiente”. Dopo mesi di polemiche Nucara manda messaggi distensivi a Booking: “Continueremo a lavorare insieme senza problemi. Non è detto che tutte le strutture usciranno dal meccanismo della parità, le piattaforme non si devono sentire insidiate. In questi giorni ci sono state minacce eccessive da parte loro, hanno parlato di sospendere gli investimenti e addirittura di lasciare l’Italia, non succederà nulla di tutto ciò. D’altronde - conclude Nucara - in Francia, dove è stato approvato un provvedimento simile, Booking continua a operare senza difficoltà”.

Il tema era stato già al centro di una sentenza dell’Autorità antitrust che, dopo aver sentito il parere della Commissione europea, aveva deciso che la parity rate restava in vigore per i siti, mentre l’albergatore poteva decidere di vendere le stanze a tariffe inferiori su altri canali online, al telefono, per mail o direttamente al cliente che si presenta alla reception, ovviamente senza pagare la commissione al venditore telematico. Una decisione che non era piaciuta a Federalberghi, che aveva fatto ricorso al Tar. Alcune strutture dei grandi gruppi avevano trovato un escamotage per aggirare la parity rate: far iscrivere i clienti a una sorta di programma fedeltà dal quale accedere a prezzi più bassi. Sotterfugi che da oggi, forse, non serviranno più.

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